martedì 18 settembre 2018

La Fidèle di Michaël R. Roskam

In tempi emotivamente stitici, nell'impero del cinema trattenuto, resistendo a chi teme di lasciarsi travolgere dalle emozioni e per questo pretende opere distaccate, pulite, rassicuranti (vantandosi di non cedere a una cosa irreale come il ricatto morale),  c'è qualcuno che ha il coraggio di girare ancora dei melodramma.
Certo siamo lontanissimi dai capolavori di un Raffaello Matarazzo o alla grana grossa di un Negulesco. Figuriamoci se raggiungiamo la perfezione di Sirk.
Non sono tempi, cosa possiamo farci? Tuttavia per gli estimatori del genere non mancano una manciata di pellicole che rielaborano il genere, mescolandolo ad altri, donandoci opere a cui si vuol bene proprio perché vanno controcorrente.
La Fidèle è pura manna per chi ama il genere, in virtù del fatto che  Roskam mescola benissimo vari ingredienti e generi senza che si perda il gusto di ognuno di essi.  C'è alla base il meldoramma ( cola sua storia d'amore disperata, sfortunata destinata alla tragedia e a superarla, in un certo senso) ci troviamo il classico polar francese (la banda di rapinatori, i criminali tanto crudeli quanto umanissimi nelle relazioni tra di loro) un pizzico di film sportivo ( la protagonista come seconda professione fa corse automobilistiche).  Come vedete siamo immersi in un universo cinematografico di puro genere.
Tuttavia non è un film citazionista, non si piega su sé stesso attraverso personaggi che vivono in un contesto senza nessun aggancio sociale. Il regista, anche sceneggiatore del film, ci mostra la povertà di Gino, l'adolescenza difficile, la sua voglia di vivere una vita tranquilla che si scontra con la decisione del suo amico fraterno di continuare a far rapine. Non mancano nemmeno zampate contro le grandi famiglie capitaliste, tanto pulite all'esterno quanto marce nei loro rapporti col crimine organizzato.
Gigi e Bibi, i due personaggi principali, sono degli anti eroi che, in nome dell'amore, sfidano il destino, la legge e persino ( in un certo senso) la morte.
In particolare il personaggio di Gino, detto Gigi, è scritto benissimo. Un uomo nato e cresciuto in un mondo di violenza, capace di metter a nudo tutta la sua dolcezza e tenerezza.  Matthias Schoenaerts,  ci dona una grande interpretazione. Molto convincente tanto da essere la forza del film.  Altro punto di forza, a mio avviso, sono le atmosfere che rimandano ai classici degli anni 70 francesi di questi generi, non mi stupirebbe veder spuntare un Lino Ventura, in certi momenti della pellicola.
Purtroppo non ha una buona distribuzione, anche se in certe città potreste vederlo anche al cinema, come abbiamo fatto io e mia moglie a Firenze.
Un peccato perché pellicole del genere sono puro cinema che sa unire in modo equilibrato il genere ad annotazioni sociali. Certo in questi tempi, in cui il romanticismo viene visto come una cosa stupida, un'opera simile ha vita dura.
Insistiamo tanto su piaceri effimeri vissuti in modo meccanico giusto per far veder agli altri quanto siamo trasgressivi, forti, ribelli e poi di fronte alla potenza dei sentimenti crolliamo come giganti d'argilla. No, un film simile ( che ci dice come l'amore superi ogni avversità anche la più implacabile e inevitabile) non lo meritiamo proprio.

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